RSU Gruppo CAD IT: Penalizzazioni malattie brevi controproducenti in CAD

domenica 10 febbraio 2013

Penalizzazioni malattie brevi controproducenti in CAD

Riforma contrattuale delle malattie brevi. Perché per i "CADINI" sarebbe controproducente.

Noi siamo i "CADINI", quelli che lavorano "a pancia a terra". Una comunità il cui senso del dovere, per il tipo di lavoro che ce lo consente, ci porta a venire a lavorare nonostante qualche acciacco. Ma molti mi hanno già dichiarato che, dopo questa ultima riforma contrattuale, cambieranno atteggiamento. Ecco perché.

La malattia breve, quando occorre, diventa per noi un modo per "mancare il meno possibile" ai nostri compiti professionali di cui ci sentiamo responsabili prima ancora che retribuiti. Per questo un disposto contrattuale che penalizzi le malattie brevi, ovvero incoraggi le malattie lunghe pur di non incorrere in diminuzioni dello stipendio, può diventare controproducente; sul piano dei principi e su quello materiale.

Sul piano dei principi, l'Azienda, anni fa, quando ci dichiarò di non pretendere il certificato medico per i primi 2 giorni di malattia, ci spiegò che poteva permetterselo perché non sussisteva un problema di assenteismo - disincentivando così le malattie lunghe. Ma poniamo il caso che fosse la nostra azienda - non Federmeccanica - a porre una questione di assenteismo oggi. In tal caso esordirei in due modi.
Inizierei col chiedere di non di penalizzare gli istituti assistenziali, come il pagamento della malattia, a svantaggio di tutti e in modo indiscriminato; semmai di pretendere giustizia e ordinare le visite fiscali per sanzionare chi deve. Terminerei poi col dire che, così facendo, si finisce per offendere la nostra dignità, come fossimo assenteisti tutti. «Sarei disposto a cedere all'azienda un giorno di lavoro, purché faccia i giusti controlli, ma mi si lasci vivere il lavoro come il lavoro e la malattia come malattia.» ha riflettuto in tono orgoglioso un nostro collega.

Ora scendiamo sul piano materiale. Può capitare un anno sfortunato in quanto a salute. In tal caso si incorre in ulteriori "inabilità salariali"; come se la malattia non fosse già abbastanza debilitante. Finisce cioè per rimetterci lo stipendio non chi era assenteista (che magari in buona salute si ravvede), ma proprio chi sta attraversando un periodo malato. Il peggio tocca a chi ha qualche patologia non prevista fra quelle esenti dal meccanismo che, fino ad oggi, ha  fatto dello "stare assente il minimo possibile" un modo per continuare a lavorare; nonostante terapie farmacologiche settimanali. Come si regolerà da oggi? Permettetemi una breve digressione: fin qui ho scritto pensando a noi, ma soffermatevi a immaginarvi a fare, per anni, un lavoro ripetitivo in una fabbrica...

Insomma, una riforma, quella della malattia, che penalizza sia il nostro senso del dovere sia i il vero bisogno di assistenza. Da qui il cambio di atteggiamento di coloro che mi hanno raccontato la riforma dal proprio punto di vista. Atteggiamento che io trasformo in domande provocatorie.
  • Cosa osserveremmo nella statistica delle assenze a un anno dalla riforma?
  • Quanti avranno usufruito di ferie o permessi pur di evitare la progressiva decurtazione dello stipendio?
  • Quanti caldeggeranno ancora il negoziato tra medico indeciso se dare 5 o almeno 6 giorni e CADINO con l'obiettivo di ridurli il più possibile, almeno a 3 o 4?
  • Quante vorranno ancora rientrare "il prima possibile" dalla malattia, pur di finire il proprio lavoro?
  • Quante ancora sceglieranno di venire a lavorare, magari assumendo qualche farmaco in più pur di "tirare avanti" fino il weekend, passandolo così in casa a curarsi meglio convinti sia la cosa giusta?
Non è finita qui. Il rinnovato contratto nazionale ci consegna un "combinato disposto" che ha, se possibile, del diabolico. È aumentato il numero di straordinari obbligatori che l'azienda ti può chiedere con preavviso di 24 ore; per cui la produttività che perderà da una parte, la potrà forse recuperare dall'altra. Di diabolico vi è quel circolo vizioso che vedrebbe i più malaticci a dover lavorare più intensamente.

Dopo le provocazioni, e improbabili (speriamo) diavolerie, tentiamo delle prime conclusioni.
Significa forse che diverremo tutti malati lungodegenti? La risposta, che in qualche modo dovremo decidere insieme quanto superi le provocazioni sopra, sarebbe "No". No, perché sarà ancora quel senso del dovere ad avere la meglio... Un senso di responsabilità, però, non più figlio di quell'attaccamento alla cultura aziendale, professionale, assorbita dagli anni quando erano i nostri fondatori a «Riunire le squadre per andare in trasferta a farsi le ossa in banca» mi racconta qualche nostalgico degli anni 80 «E pure in trasferta si stava male, ma lo si stava "il meno possibile" pur di rientrare a remare col gruppo». Sarà invece la nostra dignità, ancora una volta, a reclamare che "io lavoro e non sono assenteista". Questo, almeno, fin tanto che saremo disposti a tollerare quella "decurtazione" di salario che poi, visti questi anni di impoverimento, finisce col toccare la famiglia...

Voglio chiudere con una speranza. Se è vero, come è vero, che noi saremo letteralmente costretti a fare i "conti" con la nostra dignità, all'Azienda possiamo consegnare invece una richiesta. Quella di non applicare questa odiosa norma "anti assenteisti" e continuare a sentirci i "CADINI" di sempre. Lo credete anche voi?

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